17 agosto 2013
IL PICCOLO
Le “sviste” della Tav nel mirino dei sindaci
Comuni veneti e della Bassa friulana in rivolta
contro gli errori progettuali contenuti nel tracciato elaborato da Rfi
nel 2010. Mossi già duecento rilievi.
TRIESTE. A Ronchis di Latisana, questione di incoerenza progettuale,
si finirebbe col demolire opere costruite per la terza corsia della A4. A
Pocenia, Porpetto e San Giorgio di Nogaro il treno finirebbe su alcuni
fabbricati. A Villa Vicentina “volerebbe” cinque metri sopra il sedime
attuale. E a Cervignano, in uscita, servirebbe una circumnavigazione di
una decina di chilometri per entrare in interporto. Errori più o meno
macroscopici che i sindaci della Bassa friulana stanno correggendo sulla
mappa della Tav in regione, realizzata da Rfi nel 2010. Un documento (i
Comuni lo ufficializzeranno tra un mese) che già contiene una sentenza,
a partire dal traffico passeggeri: stando proprio al progetto di
Ferrovie l’alta velocità «non trova giustificazione». La posizione viene
supportata dall’approfondimento coordinato dal consulente
dell’assemblea dei Comuni, Andrea Debernardi, già molto scettico
rispetto ai tempi biblici dell’opera. Così scettico che, si legge nel
documento da lui siglato e condiviso all’unanimità dai sindaci, visto il
quadro programmatico «poco aggiornato, oltre che frammentario» portato a
supporto dell’intervento, «non si giustifica la realizzazione di una
nuova linea ferroviaria ad alta velocità in Fvg».
Lo stop è
riferito in particolare al trasporto passeggeri: i traffici non lo
richiedono. Mentre «più significative – si legge ancora – risultano le
prospettive di sviluppo del traffico merci». Ma, anche in questo caso,
più che una linea dedicata, queste prospettive «richiedono potenziamenti
volti a incrementare la potenzialità di circolazione dei “colli di
bottiglia”, nonché ad assicurare raccordi adeguati con i sistemi di
terminalizzazione, che includono soprattutto lo scalo ferroviario di
Cervignano e il porto di Trieste». Concetti non troppo diversi da quelli
che Bortolo Mainardi, commissario della Tav, ha usato per proporre
un’alternativa al tragitto costiero bocciato dagli enti locali del
Veneto. Ciò a cui anche il Fvg deve puntare, stando ai sindaci, è
l’integrazione programmatica e progettuale non più sull’asse Ovest-Est
ma sul corridoio Baltico Adriatico, «in modo da supportare gli scambi
tra Italia e Mitteleuropa». Bocciata l’alta velocità, i Comuni si dicono
comunque disponibili a verificare le ipotesi di rafforzamento
dell’esistente. E, puntando il dito sul progetto Rfi di tre anni fa, vi
infilano circa 200 rilievi. La maggior parte dei quali non riguarda una
Tav non ritenuta funzionale, ma questioni più urgenti. «Lo studio, anche
nei casi in cui la nuova infrastruttura si affianca all’attuale linea,
non tiene conto del rumore generato dai treni sulla rete esistente –
spiega Tiziano Felcher, assessore ai Trasporti di Bagnaria Arsa,
capofila dell’assemblea –. Di qui la richiesta da parte di quasi tutte
le amministrazioni di maggiori protezioni. Senza dover aspettare
vent’anni». Oltre alle osservazioni paesaggistiche, i sindaci
sottolineano in rosso le varie incongruenze di Rfi. «Nel triangolo
Cervignano-San Giorgio-Palmanova – rileva Felcher – il progetto
allungherebbe di molto i tempi di arrivo all’interporto. Ma mancano
anche collegamenti tra lo scalo di Cervignano e l’Aussa Corno e la
previsione di migliori servizi per il pendolarismo locale». In attesa di
capire come le modiche del tracciato veneto influiranno su quello
regionale (la prossima settimana la presidente Serracchiani incontrerà
il ministro Lupi), i sindaci, a settembre, stenderanno le conclusioni di
un lavoro che, di fatto, posticipa, se non cancella, la Tav
concentrandosi sull’esistente. Con l’obiettivo di risparmiare,
innanzitutto: i 10 miliardi ipotizzati per la Venezia-Trieste, del
resto, dove si trovano? «La soluzione che prospettiamo per il nodo
Cervignano-San Giorgio-Palmanova garantirebbe una linea più efficace e
costerebbe un decimo di quanto previsto», esemplifica Felcher svelando
il grande timore degli enti locali: che nella palude della burocrazia
romana il progetto Rfi, senza “emendamenti”, passi al Cipe e diventi
operativo.
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